venerdì 4 gennaio 2013

La visita

(by Massimo Enzo Grandi)








No. Non dormo.

Anche se coricato senza saperne il vero motivo, sono sveglio.

Gli occhi chiusi a fissare il nulla. La mente che lascia sciogliere i pensieri come ghiaccio al sole, pensieri che svaniscono, piano piano, lasciando spazio al vuoto.

Un lampo dietro le palpebre. Rimango in attesa di sentire il tuono, che però non arriva.

Apro gli occhi e accanto a me, grigia, ma ancora un po’ scintillante della sua irrealtà, quella presenza dalle fattezze indefinite, pronta ad assumere i tratti che credo riconoscere in essa, a completarsi con i colori che i miei occhi definiscono stimolati dall’emozione. Una presenza pronta a parlarmi, con quel suono che non vibra nei timpani e che non viene battuto tra incudine e martello, che non ha bisogno di una staffa in cui versare la colata per dar forma al significato che contiene.

Mentre silenziosi i dolori rimangono presenti solo nella carne e non nella mente – a darmi così un senso di apparente sollievo, ma aspettando comunque di attrarre nuovamente il mio corpo nella trappola mortale dell’illusione – richiudo gli occhi ritrovandola presente in quello schermo solitamente buio, in un punto che non segue la mia pupilla che scivola dietro le palpebre, ma rimane fisso in quella incredibile dimensione, dove rivolgo la mia esternazione.

“Grazie” – sussurro piano in quell’ora della notte.

“Grazie anche a te, che mi lasci entrare”

Posso sentire le pupille dentro l’umidità che provo, mentre io stesso divengo alcune lacrime di commozione, ma non è ciò che volevo, e mi sposto su uno dei raggi che partono dal cuore, quello che giunge poco sopra gli occhi.

Sospeso come a mezz’aria tra vari me, differenti solo per interpretazione, mi abbandono a quella piacevole molteplicità. Mi soffermo proprio lì, come quei sibili leggermente dissonanti, che risuonano con inaudita continuità tra il mio pensiero destro ed il sinistro; sembra mi tengano in equilibrio sull’orlo di un’idea di pazzia, anzi, forse sono forse proprio loro che mi permettono di gravitare sopra la mia coscienza.

Un nuovo lampo e la figura sembra perdere un poco della seppur effimera consistenza. Assisto senza sapere cosa stia succedendo e senza farmene un quesito.

Ancora un lampo, e un altro, e un altro.

Se prima era quasi solo un’ombra, ora è quasi solo uno spazio rimasto intriso della sua precedente presenza, uno spazio che denota comunque l’assenza di quella figura.

“Non andartene, ti prego. Concedimi questa tua piacevole presenza.”

“Non me ne sto andando, tutt’altro! Sto prendendo posto con te nel tuo osservatorio.”

Posso chiaramente sentire questa presenza “estranea” espandersi piacevolmente nel mio corpo consapevole, quasi proprio come il liquido di contrasto per fare una Tac ti entra in circolo, permettendoti di percepire parti del tuo essere che neppure immaginavi di avere.

“Ti sento!”

“… un brivido lungo la schiena…” sento aleggiare come risposa scanzonata.

“Vorrei stringerti, ma mi rendo conto che non posso.”

“Sciocco che sei! Non ti basta contenermi? Non ti basta fonderti con me?”

Trascorriamo insieme quel poco che rimane della notte, lasciando che intanto il mio corpo riposi quasi immobile in quel drappo di menta nato dal cuore di un gigante buono.

La nostra trasparenza si sta facendo via via più intensa e permette di intravedere il risveglio dei vecchi ricordi rinchiusi ancora in scatole e casse, in attesa di essere riesumati.

Un lieve formicolio, una vibrazione, l’effetto di un alito strappato dietro la nuca, e la forma riflette uno sguardo dolcissimo abbracciato al mio fianco.

Nel risveglio del fisico non riesco a trattenere la sua evanescenza.

Ciò che sembra la sua mano si protrae verso me…

“Se ti lascio andare mi sveglio…” sussurra con una nota dispiaciuta, ma sono io che mi risveglio, o forse che mi riaddormento.

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